Lez. 105 - La relazione dell'umanità con Dio nelle varie fasi del suo sviluppo
Lezione della Guida del Sentiero - Pathwork Guide Lecture
8 giugno 1962
Traduzione in italiano di Daniele Buratti
Revisione non ancora effettuata
Edizione Giugno 2023
- Saluti, amici carissimi. Dio vi benedica tutti. Benedetta è quest’ora. Benedetti i vostri sforzi. Benedetto il vostro lavoro.
- Prima di iniziare la lezione odierna desidero estendere i nostri ringraziamenti dal mondo dello spirito a tutti gli amici impegnati nel Percorso di autoriconoscimento: è davvero qualcosa di cui essere grati. Nulla aiuta il mondo intero quanto un piccolo passo verso l’ulteriore autocoscienza di ogni individuo. Nulla aiuta a eliminare sofferenze e confusioni quanto l’impegnarsi in questa direzione. Il desiderio sincero di affrontare la verità in voi - la realtà che è in voi in questo momento - è l’unico modo non solo di aiutare voi stessi, ma anche di aiutare a migliorare le condizioni di tutti e tutto. Non v’è altro che possa eliminare il conflitto. Tutti voi avete fatto progressi in questo senso, nell’ultimo anno. Ognuno di voi ha acquisito un po’ più di comprensione di sé, e tutti, chi più chi meno, sapete vedervi meglio come siete in realtà. Forse non ancora del tutto, è vero, ma certo meglio di un anno fa. Dunque è stato un anno fruttuoso, più di quanto possiate immaginare. Noi siamo convinti che, dopo questa breve interruzione delle attività, l’anno a venire sarà foriero di ulteriori progressi in questo senso: la capacità di affrontare voi stessi così come siete. Per progresso intendo rimuovere le barriere per vedere quel che c’è, anziché prendere le distanze nell’erronea convinzione che cercare di essere ciò che non potete ancora essere sia progresso spirituale.
- Nel vostro quotidiano avete molte possibilità di vedervi così come siete, di verificare ciò che sentite davvero, e non ciò che cercate di sentire. Vi basti ricordare di prestare sempre attenzione a quella realtà in voi e coltivare la consapevolezza. Dopo un anno così fecondo mi aspetto che gran parte di voi, amici miei, superate difese e resistenze, penetriate ancor di più nei vostri livelli emotivi per constatarne l’esistenza e, dunque, la valenza. Una tale ulteriore comprensione vi renderà ancor più liberi, poiché avrete constatato come la paura iniziale si rivelasse infondata. Continuate così e non lasciate che quella paura vi blocchi, ma guardatela diritta in faccia, analizzatela e afferratela senza reprimerla, e poi scendete a patti con essa.
- E ora, amici, veniamo all’argomento odierno. Affronteremo la relazione dell’uomo con Dio nel ciclo di sviluppo, nelle varie fasi del ciclo che l’uomo attraversa. Nella scorsa lezione vi parlavo dello stato dell’essere inconsapevole quale prima tappa del grande ciclo. L’uomo primitivo, nelle sue prime incarnazioni, si trova ancora vicino a quello stato dell’essere. Vive alla giornata provvedendo ai suoi bisogni immediati. La mente non ancora sviluppata non è attrezzata per far domande, dubitare, pensare e discriminare. L’uomo primitivo vive nell’adesso, ma senza alcuna consapevolezza. Per vivere in un adesso consapevole si devono attraversare diverse fasi.
- Con lo sviluppo graduale della mente, l’uomo ne fa uso innanzitutto per i bisogni immediati, i più urgenti in una civiltà in crescita. Cioè all’inizio usa la mente in modo concreto. Ma in seguito inizia a usarla in modo astratto. Comincia a farsi le domande topiche che si è posta l’umanità sin dall’alba dei tempi, ossia: “Da dove vengo? Dove vado? Qual è il senso della vita? Qual è la rilevanza di questo universo?" L’uomo comincia a percepire la natura, le sue leggi. Osserva la magnificenza delle leggi della natura. E comincia a provare stupore. Lo stupore iniziale rappresenta i primi passi coscienti verso il rapporto con il Creatore. “Chi ha creato queste leggi? Chi ha fatto tutto questo? Una mente superiore è responsabile di questa creazione?" In seguito a tali domande si forma le prime idee su Dio. Così conclude che ci deve essere per forza qualcuno dotato di infinita superiorità, saggezza e intelligenza, e sente di doversi relazionare con quell’Essere supremo.
- Ma al contempo l’immaturità spirituale ed emotiva dell’uomo, generatrice di paura e di molte altre emozioni problematiche, altera il concetto di un Creatore superiore. Da un lato vuole un’autorità che pensi e decida per lui, e che ne sia anche responsabile. Si aggrappa a quell’autorità sperando di essere esonerato dall’autoresponsabilità. Dall’altro la sua paura della vita e l’inadeguatezza per affrontarla si proiettano su quel Dio. Percepisce il potere del Creatore immensamente saggio e pieno di risorse che ha fissato tutte le leggi naturali di cui è spettatore. Poiché non riesce ancora a separare il potere dalla crudeltà, inizia a temere il Dio da lui proiettato e pertanto inizia a compiacere, lusingare, sottomettersi e farsi soggiogare da quella fantomatica immagine di Dio.
- In sintesi: il primo stato di risveglio induce l’uomo a porsi delle domande. Nell’istintiva esperienza di stupore e percezione, sovente vive una vera esperienza relazionale di Dio. Ma diventando a poco a poco più conflittuale e timoroso, con desideri che si fanno sempre più impellenti, l’insieme di tali atteggiamenti ed emozioni influenzano la prima esperienza di Dio, cosicché l’uomo non si relaziona più secondo un’esperienza autentica, spontanea e creativa, ma secondo una proiezione di sé.
- Più la mente cresce a senso unico, senza che la si usi per risolvere problemi e conflitti che rimangono nascosti alla coscienza, più il rapporto dell’uomo con Dio si falsa. Si falsa perché si basa sui bisogni personali, su meri desideri e sulla paura. Più si va avanti in tal modo, più falso diventa il concetto di Dio, sia a livello conscio che inconscio. Alla fine quel concetto si trasforma in superstizione, con meno verità e più dogmi.
- Col ripetersi di tale schema, e avendo infine tramutato in superstizione le sue autentiche esperienze e percezioni iniziali, l’uomo arriva al punto di fare di Dio una farsa. Non potendo più perpetuare la cosa, la sua intelligenza che nel frattempo si è accresciuta gli impedisce di continuare in quel modo. L’intelligenza gli dirà che “è impossibile che esista un Padre che guida la nostra vita: la cosa spetta a noi, è una nostra responsabilità. Noi abbiamo il libero arbitrio". Così scatta la controreazione. E poi succede spesso che l’uomo prenda la direzione opposta, diventando ateo.
- Vi sono due condizioni nello stato di ateismo: 1) la totale assenza di consapevolezza e percezione della vita e della natura, delle sue leggi e del significato della creazione. 2) la reazione alla superstiziosa immagine di Dio e all’autoproiezione umana che nega la propria responsabilità. La seconda condizione, per quanto erronea, è tuttavia indicativa di un ulteriore stato di sviluppo all’infuori della fede in Dio che deriva principalmente da paura, elusione, evasione, desideri impossibili e da un’autoresponsabilità rinnegata. Si tratta in genere di una transizione necessaria sulla via di un’esperienza e relazione con Dio più realistica e genuina. È una fase durante la quale si coltivano nell’uomo facoltà di enorme importanza per la crescita individuale. Con ciò non dico di essere in favore dell’ateismo, ma neppure di una fede immatura che si aggrappa a Dio. Sono entrambe delle fasi. In ogni fase c’è qualcosa di importante che l’anima apprende. Qualcosa di produttivo e duraturo si imprime nell’anima a distanza di tempo, dopo che gli strati superficiali della mente hanno eliminato la falsità dei due opposti.
- In questa seconda fase dell’ateismo l’uomo impara ad assumersi la responsabilità di sé. Rinuncia all’agognata mano che conduce la vita per lui esonerandolo dalle conseguenze dei suoi errori. Non si aspetta più un premio per aver obbedito alle regole. Al contempo si libera dalla paura di essere punito. Per certi versi l’uomo viene ricondotto a se stesso.
- Ma in questa fase, superato un certo punto non è più possibile mantenere il concetto di ateismo. Quanto più un pensiero, un concetto, un fatto scientifico o una filosofia è portato alla sua logica conclusione, tanto meno possono sussistere menzogne o mezze verità, o uno stato transitorio che era stato salutare durante un certo periodo. Attraverso le varie fasi l’uomo arriva a usare la mente per dubitare delle sue motivazioni e guardare dentro di sé. Affrontando la realtà interiore coltiva la consapevolezza. Procedendo in tal modo libera i livelli profondi della psiche. La liberazione non può che portare a una reale esperienza di Dio, ben dissimile dalla puerile credenza in un Dio autoproiettato, creato dalla mente per paura, debolezza o mera illusione. Non agisce più perché sente che Dio lo richiede o se lo aspetta. Vive nell’adesso. Non teme la sua imperfezione e non teme che Dio lo punisca a motivo di essa. La vede, ma non si agita. Tuttavia, comprendendo quanto sia nociva ma non temendola, capisce che a essere dannosa non è l’imperfezione in sé, bensì il non averne coscienza; la paura di essere puniti a causa di essa; l’orgoglio di voler essere al di sopra di essa. Non avendo più l’ansia di correggerla, l’uomo ha tutta la calma per osservarla, comprendendone il contesto e la sua ragione d’essere. Egli segue il processo e lo completa. Man mano che l’uomo coltiva questo atteggiamento rende possibile un’autentica esperienza di Dio. D’altro canto è l’occasionale assaggio e sensazione di tale esperienza a favorire un corretto atteggiamento verso di sé.
- Essere: questa è l’autentica esperienza di Dio. Dio non è percepito come azione: punire o premiare, o condurre l’uomo per determinati percorsi per alleggerirgli il carico. L’uomo comprende che Dio è. È molto difficile da spiegare a parole, amici miei, ma non ho altri modi per dirlo. E non potrete arrivare alla percezione che Dio è se prima non affrontate ciò che è in voi adesso, per imperfetto, fallato e puerile che sia.
- Sarebbe fuorviante presumere che le fasi qui descritte a grandi linee si susseguano le une alle altre ordinatamente. Esse non seguono sempre un dato ordine ma sono sovrapposte, poiché la personalità umana non è fatta da un solo livello e, come ben sapete, è conflittuale. Strati della personalità diversi esprimono, in certi momenti, atteggiamenti diversi, persino in questo particolare contesto. Può essere che in un certo periodo della vita una persona si trovi a livello conscio in una fase e a livello inconscio in un’altra. Solo se si percorre un Cammino di autoconoscenza emerge lo stadio inconscio nascosto: spesso capita che in un certo momento emerga qualcosa che sembra appartenere a una fase precedente - anche per il fatto di non aver vissuto appieno una data fase necessaria, ma che era stata repressa a motivo di influenze e pressioni esterne. Per questo la mia descrizione è solo un abbozzo globale. Attenti a non giudicare voi stessi o gli altri in base a ciò che vedete. Ma in linea di massima questo è il ciclo che attraversa l’umanità.
- L’autocoscienza prima o poi porta allo stato di consapevolezza, e al contempo nasce una nuova relazione con Dio. Dio è sperimentato come essere. Ripeto, non ci si arriva se prima non si sperimenta in modo negativo quel che c’è al momento. Né ci si arriva con concetti appresi, con filosofie e pratiche o osservando qualche dottrina. Se non siete disposti a sperimentare e vivervi le vostre confusioni negli errori e nei dolori dell’adesso, vedendoli e comprendendoli, non potrete mai essere in Dio. In altre parole: non potrete essere in uno stato di felicità, pace e creatività aconflittuale se non affrontate la realtà del momento, che sovente risulta sgradita. Solo allora potrete sperimentare la grande Realtà, anche se all’inizio in modo intermittente e indefinito. Ma ciò vi darà un nuovo approccio e una nuova relazione con Dio che non solo trasformerà i vostri atteggiamenti e concetti su di Lui, ma anche quelli che avete su di voi e sul vostro posto nella vita.
- Inutile dire che nel rapporto dell’uomo con Dio anche il suo pregare - cioè il parlare con Dio - attraversa queste fasi. Le preghiere sono l’espressione delle varie fasi. Accade spesso, come per tutte le cose terrene, che l’uomo si trovi interiormente in una nuova fase mentre fuori si aggrappa ancora a obsoleti schemi abitudinari, a modelli già adottati in fasi precedenti. Ciò potrebbe valere non solo per come l’uomo prega, ma anche per taluni concetti a cui si aggrappa nella sua mente cosciente quando dentro di sé li ha già superati. La mente genera abitudini. L’abitudine è una qualità intrinseca della mente. L’esperienza che deriva dall’essere non crea abitudini: è solo la mente a farlo. La memoria e la tendenza a creare abitudini è il pericolo costituito dalla mente per una vera esperienza spirituale. Più si è flessibili, meno si cade nella trappola di schemi abitudinari prestabiliti, di concetti e idee obsolete che in passato vi fecero vivere un’esperienza che volete riprodurre, aggrappandovi ad essa.
- Se fate pratica ad affrontare ciò che è in voi ora, vi liberate dagli schemi abitudinari che vi trattengono dalla vita produttiva e dalla vera esperienza. Che si tratti di Dio, della vita o di voi è lo stesso: è essere. Non è stata forse l’abitudine a creare nella vostra mente solchi così profondi di una data esperienza che poi l’hanno trasformata in un’immagine rigida? Non è forse l’abitudine che vi fossilizza in idee, conclusioni erronee e generalizzazioni che, nel migliore dei casi, sono solo mezze verità? Questo vale per molte cose, amici miei.
- Di nuovo, ogni volta che scoprite in voi delle modalità di errore state attenti a non sentirvi in colpa, a non agitarvi, a sentire che "io non dovrei". Un atteggiamento simile è la più grande tra le barriere!
- E ora, amici, passiamo alle domande.
- DOMANDA: Ho cercato di spiegare a due persone quel che avevi detto sullo spirito e sul libero arbitrio: una è molto religiosa e l’altra ha un approccio scientifico. Hanno ribadito che se Dio è onnisciente e amorevole conosce anche il futuro; ma avendoci dato il libero arbitrio, sa già come lo useremo? Non ho saputo rispondere.
- RISPOSTA: Intanto il futuro è un prodotto del tempo, e il tempo è un prodotto della mente. Dunque, di fatto, il futuro non esiste, così come non esiste il passato. Mi rendo conto che la cosa risulta incomprensibile ai più. Al di fuori della mente c’è l’essere, cioè niente passato, presente o futuro: solo l’adesso. Tutt’al più lo si può percepire in modo vago col sentire, ma non con la mente.
- E poi la tua domanda nasce dal medesimo equivoco assoluto che ho descritto prima: il concetto di un Dio che agisce, che fa. La creazione, nel vero senso del termine, non è un’azione, e tantomeno un’azione legata al tempo. La creazione dello spirito da parte di Dio è fuori dal tempo e dalla mente: è nello stato dell’essere. In tal senso ogni spirito è simile a Dio e si crea la sua vita. Dio non toglie, né aggiunge.
- Inoltre aggiungo che per l’uomo è del tutto illusorio credere che dolore e sofferenza sono terribili in sé. Vi prego, cercate di capire quel che sto dicendo. La smodata paura di soffrire dell’uomo è del tutto infondata e scaturisce della mente, di nuovo in errore. L’uomo teme dolore e sofferenza principalmente perché è convinto che lui non c’entri nulla, che capitino senza che lui ne sia responsabile e che non sono che coincidenze ingiuste o casuali. Ma una volta realizzato che ogni sua afflizione è dovuta al suo evadere dalla verità e dalla realtà; quando non solo l’avrà capito in linea di principio ma avrà fatto i collegamenti, allora non ne avrà più timore. Ne vedrà la chiave molto prima di iniziare a usarla. Non si premunirà più contro la presunta arbitrarietà della vita rispetto a cui si sente impotente. Allora il suo soffrire assumerà un aspetto completamente nuovo e produrrà dei buoni frutti.
- L’uomo capirà così che la sofferenza effettiva è molto meno terribile del timore che prova per essa e del suo atteggiamento al riguardo. In qualche misura molti di voi hanno già constatato come la paura preventiva sia assai peggiore dell’evento stesso. E che il dolore assume un nuovo volto se si capisce a fondo come lo si è creato. Se osservate la catena di eventi interiori e mettete da parte perfezionismi, moralismi e giustificazioni, il dolore svanisce all’istante anche se la situazione esterna non cambia. Quando venite davvero a patti con la vostra realtà potete anche accettare una vita non perfetta. Se evitate di ribellarvi alle cose imperfette, trasformate molti schemi e soffrite di meno. Ma la vostra aspettativa conscia o inconscia che la vita debba essere perfetta vi fa insorgere, resistere ed erigere barriere che sono causa di imperfezioni e sofferenze - più di quante la vita ne potrebbe creare. Pertanto è l’atteggiamento che avete nei confronti del soffrire, della vita, del vostro posto nella vita e di voi stessi a determinare il modo in cui vivete la sofferenza. Se solo l’atteggiamento dell’uomo nei confronti della sofferenza non fosse così distorto, troverebbe che i problemi da risolvere per la conquista della mente e della materia sono affascinanti. Sono le cose più belle della vita terrena. Solo vincendo la vostra resistenza, cecità e assenza di autoconsapevolezza potrete sperimentare la bellezza della vita, sia quando vivete periodi difficili, sia quando provate appagamento e felicità.
- Se l’uomo inizia a capire queste cose, una domanda del genere perde di senso. È talmente confusa e intrisa di cecità, di non consapevolezza della realtà, e denota una tale immaturità spirituale, che chi la pone non sarebbe mai in grado di capire la risposta, comunque la si formuli. Non potete capire con la mente cosa c’è al di là del regno della mente. Per tale scopo serve un’altra facoltà, ma finché negate l’esistenza di quella facoltà come potrete far sì che una persona possa arrivare a capire?
- Nella domanda è pure insito l’eterno conflitto dell’uomo nell’ambito dei concetti religiosi. Da un lato l’uomo presume che Dio sia un Padre che tutto può e che agisce come gli garba; che premia chi obbedisce alle sue leggi; che dà la guida senza che si debba vivere la propria vita interiore, purché la si richieda con umiltà. Dall’altro si postula che serve il libero arbitrio per plasmare il proprio destino ed essere responsabili della propria vita. È quel che predica la religione, ma al tempo stesso obbliga l’uomo a obbedire a certe regole e in tal modo ne paralizza l’autoresponsabilità e la libera scelta. Tra i due assunti che paiono escludersi l’un l’altro l’uomo resta confuso. La domanda posta è un tipico esempio di tale confusione.
- I due concetti di autoresponsabilità e di un Creatore onnipotente si escludono a vicenda solo se visti dalla mente e nel tempo, e se si ha la percezione di un creatore onnipotente che agisce come l’uomo, nel tempo e con la mente. Non serve trovarsi in uno stato di consapevolezza per percepire che, in realtà, nello stato dell’essere non v’è conflitto tra i due. Basta affrontare se stessi senza resistenze, senza la pretesa di essere più di ciò che si è, senza cercare di essere più perfetti di quanto, in un dato momento, capiti di essere. Ogni aspetto che scorgete in voi in totale libertà vi pone in quel determinato istante in uno stato d’essere, e così percepite interiormente la verità di Dio come Essere senza le contraddizioni insite nella domanda che hai posto. Allora saprete nel profondo che una completa autoresponsabilità non è appannaggio solo di un Essere supremo. Ma chi non è ancora pronto interiormente non potrà capire quel che sto dicendo.
- A tal proposito, qualcuno di voi si potrebbe chiedere perché gli insegnamenti di alcuni grandi spiriti - incarnati o disincarnati, che cioè comunicano attraverso un medium - pur trasmettendo grande saggezza sembrino incentivare gli stadi transitori che vi dicevo essere fasi di un ciclo maggiore. I loro insegnamenti erano stati adattati a uno stadio ancora immaturo, anziché aiutare le persone a superarlo. Potreste giustamente chiedervi perché. La risposta è che bisogna vivere ogni stadio fino in fondo. Non ci si può forzare a saltare una fase, se non si vuole che resti nell’anima qualcosa di non assimilato che si manifesterà in seguito. Supponiamo che qui ci siano delle persone che in questi anni non si sono evolute al pari vostro. Tutto ciò che vi potrei dire sul rapporto con Dio per loro non avrebbe senso. Un individuo che non abbia vissuto almeno in parte la pace della vera autoconsapevolezza senza condannarsi o giustificarsi - per quanto vi succeda di rado - non può assolutamente percepire il significato dello stato dell’essere. Se, ad esempio, un gruppo si trova tra il secondo e il terzo stadio di questo grande ciclo, lo spirito dovrà parlare in modo da farsi capire. Lo spirito non mente, ma per quel gruppo sarebbe umanamente impossibile capire di più. Solo portando le persone gradualmente fuori da quello stadio verso il confronto con se stesse, le loro anime potranno iniziare ad assorbire maggiori dosi di verità, anche se la mente fatica ancora a capire. Ecco perché potrebbe succedere che gli aiutanti spirituali, di questo o di altri mondi, diano l’impressione di spingervi a vivere una fase da cui siete già usciti.
- COMMENTO: So che se avessi ascoltato questa lezione un anno fa non l’avrei recepita come la sto recependo ora.
- RISPOSTA: Certo che no. Ora almeno c’è una possibilità di comprendere, afferrare e sentire, seppur occasionale.
- In modo minore, l’uomo ripete i cicli più e più volte a vari livelli. Non attraversa le varie fasi solo una volta. Potete vedere come le lezioni passate in un certo senso attraversino queste fasi. Ogni fase superata vi prepara a ricevere la chiave: l’autoconsapevolezza. Occorre che coltiviate abilità, volontà, coraggio assieme agli incentivi e alle motivazioni, che non arrivano con facilità. Per questo ci sono le fasi, ma non sono leggi preconfezionate. Ci sono a motivo del ritmo di crescita proprio dell’uomo che non può essere velocizzato ma deve essere incoraggiato e preparato. Serve aiuto per dirigere l’attenzione sulle proprie resistenze.
- DOMANDA: Potresti per favore approfondire il significato della preghiera nelle varie fasi?
- RISPOSTA: Credo che si evinca dalla lezione stessa. La preghiera deve essere adeguata all’atteggiamento e al concetto cosciente di ogni singola fase. Nella prima fase l’uomo è ancora in uno stadio dell’essere di scarsa consapevolezza, e non avendo un concetto di Dio non c’è preghiera. Nella fase successiva l’uomo inizia a porsi domande e a stupirsi, e quell’esperienza spontanea di meraviglia e di nuove riflessioni è già di per sé preghiera o meditazione. Nella fase seguente potrebbe arrivare a concepire un’Intelligenza Suprema. In questo stadio la preghiera prende la forma di ammirazione per la meraviglia dell’universo e della natura: è adorazione. Nella fase che segue, quando inadeguatezza, immaturità e confusione mentale inducono attaccamento, paura, impotenza e dipendenza; e quando il pio desiderio, l’avidità e il non accettare la realtà portano a supplicare, la preghiera sarà espressa di conseguenza. In questo stato sembra che le preghiere vengano esaudite non perché Dio agisca, ma perché in qualche modo l’uomo è sincero nonostante i suoi autoinganni ed evasioni, e apre un canale attraverso cui le leggi dell’essere possono fluire dentro di lui. Questa fondamentale distinzione verrà percepita solo in una fase successiva. Quando l’uomo prende atto della propria partecipazione - che la sua preghiera venga esaudita o meno - perde il senso di impotenza e dell’arbitrarietà di un Dio volitivo da dover compiacere con regole sovrapposte create dall’uomo. Potrei anche aggiungere che quella che sovente sembra una preghiera esaudita è la conseguenza della forza di una mente esente da conflitti nell’area specifica in cui la preghiera viene accolta, almeno in quel momento.
- Quando l’uomo perviene a uno stato di indipendenza, quando lascia andare quel Dio immaginario che punisce, premia e conduce la vita per lui, quando si trova nello stato di ateismo e di negazione di esseri superiori, di certo non prega - almeno non come di solito s’intende. Egli forse medita e si osserva con sincerità, e questa, come ormai ben sapete, è la preghiera migliore. Ma potrebbe anche capitare che nello stato di ateismo l’uomo sia completamente irresponsabile e non pensi neanche a osservarsi, fuggendo come suol fare chi adopera Dio come scusa per fuggire da se stesso.
- Quando l’uomo raggiunge lo stadio di ricerca attiva dell’autoconsapevolezza, dell’affrontare se stesso così com’è, inizialmente potrebbe essere ancora abituato alla solita preghiera di richiesta di aiuto, in cui chiede a Dio di fare al posto suo ciò a cui lui era solito sottrarsi. Ma nonostante l’abitudine comincia a guardarsi in faccia e, dopo aver indagato nel profondo, cessa a poco a poco di pregare come prima. Potrebbe anche attraversare una fase in cui non prega in modo attivo, nel solito senso; ma medita - e questa è spesso la preghiera migliore - guardando le sue vere motivazioni; permettendo al suo sentire concreto di venire in superficie e chiedendosene le ragioni. In questo frangente la preghiera classica perde sempre più di significato, è contraddittoria. La sua preghiera è azione di autocoscienza e di auto-osservazione nella verità. Nella preghiera c’è l’intento sincero di affrontare quel che ci potrebbe essere di più sgradevole. Ed è preghiera, poiché ha in sé l’atteggiamento che vede la verità fine a se stessa come soglia dell’amore. Senza verità e senza amore non c’è esperienza di Dio. L’amore non cresce fingendo una verità non sentita. L’amore cresce affrontando la verità, pur se imperfetta. Tale atteggiamento è preghiera. Essere genuini con se stessi è preghiera; prestare attenzione alla propria resistenza è preghiera; ammettere qualcosa da cui ci si nasconde per vergogna è preghiera. Quando c’è questo, a poco a poco lo stato dell’essere viene gradualmente in esistenza. E lì, nello stato dell’essere, la preghiera non è più fatta di parole o pensieri recitati, ma è un sentire di essere nell’eterno presente; di fluire in una corrente d’amore assieme a tutti gli esseri; di comprensione e percezione; di essere vivi. È impossibile veicolare come questi pochi aspetti, insieme a tanti altri sentimenti inenarrabili, costituiscano la preghiera nel senso più elevato. È la consapevolezza di Dio nella Sua Realtà. Ma questo tipo di preghiera non si può imitare o imparare attraverso insegnamenti, regole o discipline: esso nasce in modo naturale dal coraggio e dall’umiltà di confrontarsi con se stessi interamente e senza riserve. Prima che conseguiate tale alto livello dell’essere e di relazione con Dio, in cui preghiera ed essere sono un tutt’uno, ciò che potete fare - la più bella preghiera del mondo - è rinnovare il costante intento ad affrontare voi stessi senza riserve; a togliere ogni finzione tra la vostra mente cosciente e ciò che è in voi; e infine a rimuovere la finzione tra ciò che è in voi e gli altri. Questo è il cammino, amici miei.
- DOMANDA: Di recente ho saputo che un mio cuginetto ha un tumore maligno. Vorrei chiedere una preghiera di gruppo per la sua guarigione e sapere se c’è qualcosa che io o altri possiamo fare per aiutarlo.
- RISPOSTA: Carissima, la tua domanda è in contrasto con tutto ciò che ho detto oggi e in passato. È certo comprensibile che tu ti senta così. Ovviamente potete pregare in gruppo. Il valore di una preghiera è il sincero intento di augurare il meglio a qualcuno, che non soffra, che si intende fare di tutto per alleviarne la sofferenza. Se questo è il tuo intento, apriti all’ispirazione. Se c’è un modo per infondere forza e consolazione, potresti trovarlo con la tua apertura. Ma dalla nostra prospettiva vediamo le cose in modo assai diverso. La sofferenza momentanea, la separazione e la morte non sono, in realtà, ciò che tu credi che siano. So che è doloroso al momento, nel tempo. Non v’è dubbio che dei pensieri e dei sentimenti puri, accompagnati da un puro intento, abbiano la loro efficacia. Forse non esattamente come desideri, ma hanno comunque un ottimo effetto.
- DOMANDA: Non è tanto l’idea che muoia a far male, ma che lasci tante cose incompiute senza poter esprimere il suo talento e fulgore.
- RISPOSTA: In realtà tu consideri una perdita ciò che resta di incompiuto in vita, ma non è così. Nessuno esce dalla sfera terrestre se non è cosa buona e giusta, a meno che non ci si tolga la vita. Nulla di quel che succede nell’intero universo è insensato o sterile. Non c’è spreco: ci sarebbe se non si utilizzasse al meglio la vita, finché dura. Ma abbandonare la vita terrena in quanto tale non è mai uno spreco, per giovane che sia la persona che lascia il corpo. Se davvero rifletti e mediti su queste parole, esse ti daranno un aiuto e una consolazione maggiore che se ti dicessi che c’è il modo di interrompere le leggi di causa ed effetto, che Dio può proteggerti da certe fasi che l’uomo deve attraversare, e che la cosa è vantaggiosa per tutti. Non intendo dire che il tuo cuginetto non possa essere aiutato, ma non rientra nel mio campo. L’esito finale potrebbe non essere necessariamente quello che temi. Ma che lo sia o meno, di certo non c’è spreco. C’è un motivo anche per chi resta indietro.
- DOMANDA: Vorresti per favore commentare il nostro lavoro di gruppo e indicarci come farne un’esperienza ancora più dinamica, e che sia per noi un vero lavoro di gruppo?
- RISPOSTA: Certo, amico mio. Credo che la maggior parte di voi possa iniziare a sentire e sperimentare come il lavoro di gruppo sia di incommensurabile importanza. In quale altro modo si può permettere alle proprie emozioni negative di emergere? Consentire loro uno sfogo che non solo sarebbe distruttivo in un ambiente che non capisce, ma addirittura fecondo per l’introspezione collettiva? In quale altro modo ci si può liberare dalla pressione delle repressioni? O imparare a capire se stessi nello specchio che sono gli altri? Come s’impara a comunicare meglio e in modo più veloce a un livello più profondo dell’essere, anziché a livello superficiale? Tutto questo ha avuto inizio e può essere ulteriormente sviluppato negli anni a venire, se lo terrai a mente. Purché anche in futuro tu continui a crescere - come hai fatto lo scorso anno - il lavoro di gruppo si rivelerà sempre più fruttuoso: è in aggiunta al lavoro privato, una delle più grandi risorse a cui attingere in ogni frangente. L’andamento dei vari gruppi dipende principalmente dalla partecipazione e dalla volontà dell’individuo di superare le difese di superficie; dal suo voler mollare le resistenze; dall’essere disposto a vedere la verità interiore; dalla disponibilità a rinunciare a giustificare, moralizzare, razionalizzare, intellettualizzare. Ma questo lo sai già. Hai iniziato per tentativi, riportando talora ottimi risultati in questo ambito. Ma ci sono ancora tante difese e tanto orgoglio che impediscono la vera apertura dei canali e che avranno inevitabilmente le loro conseguenze. Troppo spesso non ti vedi. Non ti vuoi esporre. Ma di certo migliorerai se manterrai salda la volontà sincera di affrontare le tue emozioni interiori con quel candore che tanto auspico. Per cui ti ricordo nuovamente, anche per quel che concerne il lavoro di gruppo, di apprendere sempre di più per far emergere il tuo sentire. Impara a osservare le tue reazioni. Osserva come tendi sempre a giustificare ogni tua reazione. Osserva la tua soggettività. E pian piano sarai in grado di esprimere emozioni irrazionali, puerili e imperfette senza che tu le debba motivare. Solo allora potrai iniziare ad analizzarle e comprenderle nella loro vera luce. Finché cercherai spiegazioni razionali ancor prima di esprimere chiaramente le tue emozioni non potrai acquisire l’agognata consapevolezza di te, che è essenziale per la tua liberazione. Man mano che diventerai consapevole delle tue difese imparerai a non cercare di evitarle, ma vorrai sperimentarti in piena consapevolezza mentre le attivi. Dunque è questo l’approccio giusto. Questo è progredire. È davvero più illuminante e più costruttivo che sforzarti di allontanarti da qualcosa che non puoi percepire. Mi rendo conto, amici, di essere molto ripetitiva. Ma non mi stancherò mai di ripetermi. Voi ve ne dimenticate, e allora bisogna che ve lo ricordi ogni volta. L’esperienza emotiva, essere in ciò che sentite e coglierne il significato, è anch’esso un modo di lavorare in gruppo. In tal modo perverrete a una più feconda interrelazione con gli altri che contribuirà al vostro progresso individuale in modi che neanche vi potete immaginare.
- Avete cominciato alla grande: il primo anno di questo particolare lavoro di gruppo è andato meglio del previsto. Ma ciò non significa che non possiate fare molto di più. Seguitate così e tanti più benefici ne deriveranno per chi si impegna in modo sincero. Ci sarà una maggiore interazione tra un’anima all’altra - non tra un intelletto all’altro.
- DOMANDA: Vorrei fare una domanda sullo sviluppo dell’uomo, su quel che dicevi la volta scorsa e che hai ribadito oggi. Mi sembra che la cultura occidentale tenda ad aggrapparsi a intelletto e volontà, anziché ad avvicinarsi allo stato speciale dell’essere. Nel qual caso cosa possiamo fare per reagire a tale tendenza, ad esempio nell’ambito dell’educazione e della vita culturale?
- RISPOSTA: È una tendenza generale, come ben sapete. Che cosa puoi fare? C’è solo una risposta. A rischio di ripetermi, vi dico ancora una volta che non v’è altro modo che coltivare l’autoconsapevolezza, così come state già facendo. Più maturerete a livello emotivo e maggiore consapevolezza acquisterete, più questa emanerà da voi e, in qualche maniera, troverà espressione in modo spontaneo e creativo in ogni vostra attività. Che voi siate medici, insegnanti o ciabattini non cambia. Influirete su ciò che vi circonda, non tanto per ciò che dite o predicate, ma semplicemente attraverso la vostra presenza e per ciò che emanate. Ogni individuo che percorre un cammino di autoscoperta non può che contribuire al grande cambiamento. Il mondo non cambia, a meno che un sufficiente numero di persone non faccia esattamente ciò che state facendo voi. Ogni singolo essere umano aiuta in tal senso. Tutto quel che si fa per essere onesti con se stessi beneficia anche gli altri. Per inciso, qui e là il cambiamento è già iniziato. Il contributo di un gruppo come il vostro è maggiore di quello di una folla di predicatori che reprimono le emozioni, convinti di dover essere buoni: una bontà che allontana il vero stato dell’essere. Un gruppo di cinque persone che affronta la realtà così com’è dà un contributo al mondo intero - non soltanto alla sfera terrestre, ma a tutte le sfere - più di tanti insegnamenti e idealismi che raggiungono solo l’intelletto di superficie.
- DOMANDA: Quando siamo irritati o infastiditi dall’altrui perversione, egoismo o cinismo, o dalla corruzione nelle alte sfere, facciamo male ad arrabbiarci? La luce del Sentiero ci rende forse ciechi a quanto c’è di sbagliato nell’organismo sociale di cui facciamo tutti parte? Come ci dovremmo regolare riguardo ai problemi sociali?
- RISPOSTA: Nella tua domanda scoprirai la dipendenza emotiva e il carattere moralistico di base. Essere moralisti con se stessi (quale atteggiamento dovrei avere? Non va bene?) e con gli altri. Come spesso ripeto, non troverai una vera risposta finché manterrai questo tuo atteggiamento di base. No, in un percorso di autoscoperta non ti si chiede certo di far finta di niente, è impossibile. Tollerare ed evitare di vedere la realtà non è una soluzione, bensì una pigra accettazione del male; e non è una soluzione neanche ribellarsi al male, giacché non riusciresti a trasformare il male. Tutt’al più potresti apportare delle riforme di facciata che non poggiano su solide basi, destinate prima o poi a decadere in un opposto altrettanto sbagliato per poi tornare a essere nocive.
- Una volta scoperto e rimosso l’atteggiamento automoralizzante, un buon approccio sarebbe quello di chiedersi: “La mia rabbia è davvero oggettiva? O sono coinvolto?" Così percepirai la differenza tra rabbia oggettiva e soggettiva. La prima non mette pressione, è distaccata, non ti rende irrequieto e frustrato. Ogni volta che ti senti frustrato e che la rabbia ti ferisce, essa nasconde qualcosa che non hai ancora affrontato dentro di te. Questo turbamento, l’assenza di pace, è sempre segno di rabbia soggettiva che denota la non consapevolezza di ciò che sta realmente accadendo in te.
- L’ho detto spesso e lo ripeto: nessun mezzo collettivo potrà mai davvero cambiare il mondo, a meno che non sia sostenuto da una crescita e trasformazione interiore generata dall’autocoscienza. Fintantoché l’uomo non affronterà la propria ingiustizia, l’avidità, l’egoismo, l’unilateralità, l’orgoglio e la paura - che si trovano in un livello psicologico ben nascosto - tali atteggiamenti non potranno che perdurare nel mondo malgrado le riforme sociali. Le riforme sociali sono un prodotto umano e sono mantenute dall’uomo. Se l’uomo, in generale, nasconde in sé ciò che vuol vedere svanire fuori di sé, si genera una discrepanza impossibile da aggiustare. Ciò non vuol dire che non si debba fare di tutto per eliminare il male o le cose sbagliate. Ma dovresti capire quel che serve davvero per cambiare il mondo. Finché sei in guerra con te stesso, porterai la guerra fuori di te. Finché sei intimamente avido ed egoista, magari senza neanche saperlo, non riuscirai a sopraffare l’avidità e l’egoismo esteriori. Se vuoi davvero contribuire al bene generale, al di là di tutto ciò che puoi fare in concreto, cerca di trovare in te le condizioni analoghe a quelle a cui ti opponi con tanta veemenza fuori. Avranno forse una forma molto più sottile o modificata, ma ci sono. Una volta divenutone consapevole, sappi che tu e milioni di altri tuoi simili avete la vostra responsabilità riguardo ai mali del mondo. Non ci si deve colpevolizzare o fustigare: basta riconoscere i fatti. Le riforme esteriori, per quanto ben formulate, potranno perdurare solo se sempre più persone faranno quel che ti sto consigliando di fare. Analizza la storia e vedrai che è così. Riforme e miglioramenti generali sono genuini e duraturi nella misura in cui l’uomo diviene più responsabile, più consapevole di sé, più maturo. Ovunque le riforme sociali siano state assai più avanzate rispetto alla crescita interiore dell’uomo, il loro effetto ha finito per svanire o si sono spostate sull’altro lato della bilancia, in un opposto altrettanto nocivo. Il mondo, in generale, riflette lo stato interiore degli individui, la loro effettiva verità interiore. Lo dicevo anni fa, ma forse adesso riuscirai a rendertene meglio conto. Lo squilibrio prodotto nel passare da un estremo all’altro nel tentativo di eliminare un male, è esattamente quel che accade all’anima individuale. Quando l’uomo tenta di cambiare in superficie, oscilla da un estremo all’altro. Quando egli adotta una regola - per buona che sia - in sostituzione di un’altra che non gli piace, non dimostra profondità, poiché non cerca di indagare ciò che sente davvero. Questo capita di frequente nel nostro lavoro, e lo stesso si può constatare nel mondo in generale.
- Miei cari amici, vi lascio solo per un po’, ma non per questo dovete interrompere il vostro processo di crescita interiore. Dipende da voi come approcciate voi stessi e il vostro vissuto quotidiano, le reazioni, il sentire. Continuate a osservarvi con costanza, qualunque cosa accada: non scappate da voi stessi. Portate la pace nel cuore guardandovi per come siete nell’adesso. Non c’è modo più efficace per trovare la pace, mentre ce ne sono tanti falsi e illusori, come avete sperimentato in molti almeno qualche volta. Se non c’è pace è sempre perché da qualche parte non volete guardarvi diritti in faccia. Ricordatelo, e man mano che dissolverete l’orgoglio, la finzione e le resistenze, sentirete cosa significa essere nella realtà, nello stato dell’essere nella consapevolezza. Persino in una sgradevole realtà momentanea prodotta da conflitti e confusioni, se la affrontate e vivete davvero, anziché scappare da essa, anche in quella realtà c’è la pace, c’è Dio. Quella è l’unica porta per una Realtà finalmente più grande.
- Con questo benedico ciascuno di voi e dei vostri cari. Provate a sentire l’amore, il calore e la verità provenienti dal mondo dell’essere: basta chiedere per riceverli. Adesso avete la chiave: usatela! Siate nella pace, siate in Dio!
Testo originale: Pathwork Guide Lecture No. 105 - Humanity's Relationship to God in Various Stages of Development
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